22 novembre 2015

AGGIORNAMENTO

QUESTO SITO È ABBANDONATO A SÉ STESSO

Ho dovuto aggiornare il blog visto che qualche rosicone ha segnalato il sito su Facebook, un bot inefficiente ha rimosso i post e adesso non posso più postare link verso questo indirizzo.
Che sinceramente un po’ mi dispiace, visto che mi ero affezionato, ma, ancora più sinceramente: chi se ne frega.

Con la scusa di mantenere una cronologia delle mie avventure per mia futura referenza personale alla fine ho accumulato un sacco di materiale, foto, video, ne è uscito persino un libro di merda, che sarà autoreferenziale quanto ti pare, ma visto che tanto le memorie prima o poi sbiadiscono tanto vale organizzarle ammodo.

Continua nel NUOVO SITO












21 settembre 2015

Texas - breve cronaca



Ancora non ho capito bene come ho fatto a vincere una vacanza in Texas. Ma credo sia dovuto alla mia paraculaggine. Ormai sono "artista" e finché ci credono gli altri va tutto bene. Quando anche io inizierò a definirmi tale vi autorizzo a schiaffeggiarmi pubblicamente. E io la chiamerò "performance", naturalmente.

La ragione per cui mi trovo a Nacogdoches (che ancora mi trovo a googlare per confermarne lo spelling) è una borsa di studio offerta dall'università, volo e alloggio compreso. Mica cazzi. Vincere il concorso mi ha un po' sconfortato: scegliere il sottoscritto è stata l'ennesima sconfitta del sistema, e la conferma di una mediocrità generale non indifferente. Evidentemente non c'era di meglio. Mah. Boh. Sono perplesso. Io ne approfitto e mi godo l'immeritata esperienza, insieme a Beatrice, anche lei selezionata per i suoi meriti artistici (dai, almeno lei è brava).


Comunque, ci hanno dato l'opportunità di studiare alla Stephen F. Austin State University... che poi "studiare" è un parolone visto che anche qua si gioca ad art-attack, fotografiamo le nuvole a forma di nuvola e si discute dell'influenza del triangolo nella leggibilità dei menù. Tuttavia in America hanno qualche giocattolo in più: la struttura dispone di qualsiasi genere di laboratorio, che, se sei un artista, ti può decisamente servire: forni giganti, tipografie, stampanti 3D, laser-cut, ambienti specializzati per lavorare metalli, ceramica, legno, praticamente qualunque tipo di materiale. E la gente li usa, mica come da noi che la sala posa è piena solo il mese prima degli esami.




I ragazzi hanno a disposizione anche degli studi privati dove possono dedicarsi al proprio lavoro, e sono seguiti periodicamente da professori in sessioni individuali durante le quali possono confrontarsi e dialogare dei massimi sistemi guardando un cubo dal titolo ambiguo.


Devo però ammettere che molti lavori sono ben fatti, riccamente argomentati, e addirittura esteticamente guardabili. ...che dovrebbe essere il minimo... invece dopo qualche anno di accademia ho imparato essere il massimo che ci si può aspettare da un giovane studente d'arte. Se poi i lavori sono anche originali vieni automaticamente considerato Picasso.


L'università è naturalmente esageratamente grande ed efficiente: i dormitori, i laboratori, la biblioteca, la palestra con parete da arrampicata, la piscina, i campi per qualsiasi sport (e intendo QUALSIASI: dal beach volley... allo squash). È tutto enorme, pulito e distribuito in un'area verde e pullulante di ragazzi. Insomma, uno dei tanti campus che siamo abituati a vedere nei teen-movie americani... ma dal vivo fa un po' impressione.


Le lezioni finiscono alle 4:00, e il tempo che non passiamo a scuola lo occupiamo sopratutto mangiando e frequentando gente. La vita notturna è praticamente inesistente ad eccezione del fine settimana. I primi giorni abbiamo cazzeggiato un po' con Andrew e i suoi amici nella casa dello studente. Il problema è che nei dormitori non si può fumare, altrimenti ti cacciano. Per strada non si può bere, altrimenti ti arrestano. Per entrare in un bar devi avere 21 anni, che loro non hanno. La soluzione è prendere la macchina e guidare nella notte in una direzione casuale verso il niente, tanto la strada è dritta. Musica appalla, bere eccetera. E poi tornare indietro. Naturalmente se ci fermano è finita, ma noi giovani ribelli ce ne fottiamo delle regole, "però vai piano che non si sa mai". Per la fame chimica dell'una di notte non c'è problema: qua si mangia solo ai fast food a prescindere quindi l'America è il paradiso del giovane tossico, con una dieta a base di tacos come se non ci fosse un domani. Seratine divertenti, ma poi Andrew è partito e ci siamo dovuti arrangiare per trovare altra compagnia.

La città non offre particolari svaghi a parte una balera molto old-school. E no, qua non si balla la house. C'è solo musica country, e i balli di gruppo sono una normalità. Situazioni un po' inquietanti che mi hanno profondamente turbato... ma un'autentica esperienza texana. E poi devi invitare le ragazze a ballare, che non aspettano altro. Non ho mai visto un invito rifiutato.
questa DOVREBBE essere una gif... se ci clicchi si MUOVE! (?) Mah.















 La gente si diverte ed è tutto molto spontaneo, un'atmosfera che ti fa quasi apprezzare persino la musica country. E finisci la serata con un po' di numeri di telefono di tizie che avrei anche chiamato se non fossimo stati impegnati in eventi mondani di vario genere con professori-pittori-scultori, che per qualche misteriosa ragione avevano un profondo interesse a frequentarci. Sarà che siamo giovani brillanti artisti italiani, e "non si sa mai, i contatti fanno sempre comodo". Sarà perché hanno case giganti piene di arte... e che te ne fai di un coniglio gigante di ferro da diecimila euro se non lo ostenti con gli sconosciuti. Io approvo. E dall'anno prossimo mi metto a fare conigli giganti.

In queste due settimane abbiamo visto qualcosa tipo un miliardo di opere d'arte... in gallerie, mostre, musei, nelle case della gente, negli studi degli artisti. Veramente di qualsiasi tipo. Solo per documentare quelle ci vorrebbe un video di tre ore. Gite a Houston, a Fort Worth etc etc... molta, moltissima roba fica ma ce n'è una a cui mi tocca dedicare ADDIRITTURA qualche parola di descrizione. Raramente ho il piacere di manifestare un sincero entusiasmo per qualcosa, ormai internet mi ha fottuto il cervello e sono assuefatto a qualsiasi robba... ma the Light Inside di James Turrel mi ha fatto godere.


È un tunnel. Ci entri dentro. E attraversarlo è un'esperienza sensoriale indescrivibile... anche se io cercherò di farlo. Come si vede dalla foto... è un corridoio. Blu. Che cambia colore. La caratteristica che lo rende speciale è l'impalpabile presenza della luce che acquista una fisicità, impasta il cono visivo in una nuvola a-dimensionale, senza sfumature, annulla la profondità togliendo i punti di riferimento. C'è il rischio di cadere, non scherzo. È un'esperienza disorientante e incredibile, uno dei pochi casi in cui Google non basta. Ed è per questo che mi ha esaltato e commosso: non può essere vista, può solo essere esperita (eh, lo so, non è colpa mia, si dice così). Se vi capita di entrare in un'opera di Turrel non perdete l'occasione perché davvero vale la pena.

E poi, boh, basta, mi fa fatica scrivere che domani parto e devo fare le valigie... che tanto scrivo sempre le stesse cose: ci siamo divertiti bla bla, abbiamo imparato roba bla bla, allargato la nostra cerchia di conoscenze bla bla... insomma il solito. Nel complesso è stata un'esperienza migliore di quanto mi aspettassi.  È andata bene. Come sempre. Che poi basta uscire da Firenze che qualcosa ti rimane sempre.

E anche questo fa curriculum... o, come dice David... another line on your résumé...


Giorno 01 - Arrivo
Aereo aereo aereo...
Passaggio in auto Michael Tudd
Breve introduzione
Cibo: club sandwich 
accompagagnati alle rispettive case
Dorm
Giratina in auto con musica appalla
Dorm
Cibo: Hamburger gigante, butterhoney sauce
Dorm
Casa  e collasso

Giorno 02 - Andrew
Lezione: scripting
Walmart
Cibo: Taco Bell
Lezione: After Effects
Arboretum
Casa cheerleader
Cibo: ali di pollo
Dorms
Casa  e collasso

Giorno 03 - Scialo
Lezione: critica
Kroger
Birra nel parcheggio
Vernissage cole art center
Martini al Liberty bell
Balli country con i texani al Creek Hall
Casa e collasso

Giorno 04 - Relax
Colazione caffè e croissant
Giratina case
Tipografia
Cibo: tacos con prof
Lezione: per un pugno di dollari
Documentario: Tomato Republic
Cibo: sandwich

Giorno 05 - Houston
Museo Fine arts
Cibo: humus, carne e patatine
CAMH
Rothko chapel
Cole Art Center
ritorno

Giorno 06 - Domenica
Scrivere blog, organizzare video/foto
Cibo: taco bell
Casa di Jeff Brewer
Casa di Charles Douglas Jones

Giorno 07 - Lezione
Ceramica
Cibo: taco bell
Storia dell'arte
Birre da me

Giorno 08 - Piscina
Lezione: critica
Piscina
Birre da me

Giorno 09/10
cazzeggio, internet, lezioni, blog

Giorno 11
Cena da Piero Fenci
Serata da Bailey's

Giorno 12
Barbecue country

Giorno 13 - Fort Worth

Giorno 14
Presentazione
Cena d'addio

Giorno 15
torniamo

17 ottobre 2014

Requiem for a dream

Sono a Kuala Lumpur. Fuori piove e posso finalmente dedicarmi a scrivere, selezionare le foto,
montare video, raccogliere le idee. Sono passati quasi tre mesi dall'ultimo post e nel frattempo sono successe due miliardi di cose. Un miliardo e mezzo me le sono scordate. Il resto riempirebbe dieci libri. Questa fiera dell'iperbole palesa la mia soddisfazione in merito alle esperienze accumulate in questa vacanza, durante la quale ho sperimentato picchi di estasi che difficilmente sono comunicabili a parole. I primi giorni passati sull'Isola sono un remoto ricordo, ma rileggendo l'entusiasmo con cui ne parlavo posso dire che le mie aspettative sono state superate oltre ogni immaginazione. Adesso posso confermarlo: finire sull'Isola è stata veramente una della cose migliori che mi sia capitata.

Eravamo arrivati durante il Ramadan, bassa stagione, pochi turisti... e tanto tempo per rilassarsi, fare bagni, immersioni, rotolare, e quant'altro ci si può aspettare da un'isola tropicale standard: giornate bellissime, ma che difficilmente ci avrebbero trattenuto sull'Isola più di qualche giorno. Ce ne saremmo andati presto, ma tutti ci invitavano a rimanere per la stagione turistica: "ne sarebbe valsa la pena". Perplessi ma curiosi, abbiamo atteso la fine del Ramadan, che sarebbe terminato pochi giorni dopo il mio ultimo post. Guarda caso, non ho più avuto modo di mettere mano al sito. Non è stato più possibile dedicare tempo ad altro che al Beach Bar: la spiaggia è letteralmente esplosa di vita. E ogni singolo giorno si sono accumulate storie, su storie, su storie che documentare sarebbe stato impossibile.

Dicono che un giorno sull'Isola corrisponda ad una settimana di vita normale. Non è vero. È riduttivo. Ogni singola serata (e si parla di circa settanta serate) mi sono trovato ad affermare con assoluta convinzione che fosse stata la serata migliore della mia vita. Ed è incredibile perché chi mi conosce sa che raramente manifesto entusiasmo nei confronti della vita mondana. Ma non c'è stato un giorno uguale ad un altro.

Abbiamo discusso all'infinito su come potesse essere possibile sperimentare così tante variazioni sul tema, ma non abbiamo saputo rispondere... e ancora oggi, quando parliamo della nostra esperienza al Beach Bar la gente ci guarda interdetta e non capisce come abbiamo potuto stare così tanto tempo confinati in una striscia di terra lunga duecento metri dove effettivamente non c'è niente: giungla, agglomerati di bungalow, qualche ristorante e due bar.

La verità è che quando siamo diventati locals abbiamo maturato presto la consapevolezza di vivere dentro un universo parallelo, all'interno del quale potevamo fare quello che ci pareva. Il posto perfetto per dimenticare che esiste una vita normale. Il mondo di fuori sembrava insignificante. L'illusione di abitare dentro uno stereotipo cinematografico alla the Beach non mi ha mai abbandonato e la sensazione di estrema libertà, confidenza, spensieratezza che ho avuto in quei giorni non l'avevo mai provata prima. 

Ma non solo quello. L'inclusione nella famiglia nel Beach Bar di persone come John, Guru, Mia, Dani, oltre a Nico, Maddie ha reso l'esperienza indimenticabile. Persone fantastiche di cui potrei parlare per ore, con cui abbiamo passato la maggior parte del tempo. A loro devo molto, e senza la loro compagnia l'Isola non sarebbe stata la stessa. Sentirò la loro mancanza, ma sono sicuro che ci rivedremo, come infatti è poi successo in Indonesia. Ma questa è un'altra storia e la rimando ad un'altra sezione di questo post, che prevedo essere il più lungo di sempre. O forse no, visto che alcune cose è meglio NON scriverle.



Ricordo a fatica i primi giorni, durante i quali la mia preoccupazione principale era rastrellare pacatamente la spiaggia durante il tramonto; presto me ne sono disinteressato e ho cominciato ad investire quel tempo per allenarmi a roteare bastoni infuocati sentendomi un po' Karate Kid... ignorando che sarebbe presto diventata una mia ossessione... nonché occupazione a tempo pieno. Esibirsi di fronte ad una spiaggia di turisti esaltati è stato un ego-boost notevole; non avrei mai pensato di poter diventare sufficientemente abile da raccogliere mance superiori allo stipendio giornaliero, né che la gente apprezzasse così tanto un'attività che io definirei una baracconata da centro sociale. Potevo perfino permettermi di dare lezioni improvvisate il pomeriggio, pretesto come un altro per farsi qualche amico/a, promuovere il locale ed attrarre gente. Non che ce ne fosse troppo bisogno, visto che il fireshow da solo radunava centinaia di persone intorno ai tavoli già stracolmi, riempiti con la collaudata tecnica dello shottino gratis alle persone di passaggio: un'allegro sistema che comunicava immediatamente lo spirito del bar... e di chi ci lavorava. Una media di venti brindisi l'ora. Più il resto.



Mi diverte molto ricordare quanto mi sembrasse "pieno" il bar ad inizio stagione. Sinceramente non credevo la spiaggia potesse ospitare delle feste così estreme: finito il Ramadan è arrivato DJ Franco, birmano, musica elettro-commerciale-hardcore-non-lo-so fino alle tre di notte su un impianto che immagino fosse l'unica strumentazione di qualità dell'Isola.
I bassi si sentivano da qualsiasi punto della spiaggia, facendoci odiare dai resort per famiglie, ma "che ci vuoi fare, è una party island" (?). Il che mi lascia un po' perplesso, visto che le party islands sono ben altre, Ko Pha Ngan, Ibiza, Mikonos... dove i posti come il nostro riempiono le strade e si fanno concorrenza giorno e notte. Ma troppo cari. Troppa gente. Troppo commerciale. Troppo turistico. Alle Perhentians invece c'era questa atmosfera underground, un po' selvatica, esotica, artigianale, vagamente intima, dove era possibile conoscere tutti, tant'è che quando abbiamo lasciato l'isola molti ci hanno fermati, in Indonesia, in Malesia. "...ma voi siete quelli del Beach Bar!". Oh, yeah!

Ma alla fine la pacchia è finita, purtroppo. O Per fortuna. Non lo so. Siamo dovuti partire... per non perderci. Abbandonare l'Isola è stato traumatico e i primi contatti con il mondo esterno sono stati piuttosto spaesanti. Ho riscoperto internet. Il pavimento, le macchine, l'infinita scelta di prodotti. Le scarpe. I vestiti. La Costanza mi ha detto "sembri Tarzan che vede i pantaloni per la prima volta". In effetti mi è sembrato strano radunare tutta la mia roba nello zaino, che non aprivo da oltre due mesi. Ma andava fatto. Siamo saliti sulla barca dalla quale avevamo visto andare via già molti amici. Il primo era stato Dani. Poi John, Mia, Guru. La stagione era proprio finita. Adesso eravamo noi che la gente salutava dalla spiaggia. E mentre l'Isola diventava più piccola dietro di noi qualcosa si scioglieva dentro di me. Non so spiegare la sensazione. È stato come svegliarsi da un lungo sonno, e scoprire che tutto quello in cui avevi creduto era solo un'illusione.

I giorni successivi sono stati un vagabondare in località turistiche con la Costi, venuta in vacanza a trovarci (salvarci?) pochi giorni prima. Penang, Malacca, aria condizionata e lenzuola pulite. Destinazione: Indonesia. Per raggiungere gli altri, riformare lo staff del Beach Bar e conquistare il mondo! O almeno tornare ad assaggiare quel senso di appartenenza e complicità che ci aveva legato sull'Isola.
Effettivamente io e Lapo non siamo stati molto presenti per almeno una settimana... sguardi persi nel vuoto, memorie dell'Isola ancora fresche (perdonaci Costi!). Ma eventualmente tutto passa. I capelli sono ricresciuti (niente male il taglio da mohicano, ma effettivamente fuori dall'isola l'aspetto da beach boy mi faceva sentire un po' un disadattato, eh eh). Le ferite sono rimarginate, le bruciature sono guarite, i ricordi affievoliti, e lentamente siamo tornati alla realtà non solo col corpo ma anche con la mente. Abbiamo raggiunto John, Mia e Guru in Indonesia, ma non è stata più la stessa cosa. È stato bello rivedersi, ma mi è sembrato evidente che l'incantesimo si fosse spezzato e tutti avessero altro per la testa.
Abbiamo passato insieme qualche giorno a Banda Aceh, dove abbiamo sfidato le onde violente dell'Oceano Indiano. Avevamo la spiaggia tutta per noi, e ancora non riesco a spiegarmi come un simile paradiso potesse essere deserto. 
Mi piacerebbe dire che ho imparato a surfare, ma invece ho solo rischiato la vita inutilmente, inghiottito dai flutti nel vano tentativo di cavalcare onde che mi hanno frullato, scaraventato e denudato infinite volte. Ho dovuto riconoscere che il mare fosse decisamente troppo aggressivo per un pessimo nuotatore come me. Boccheggiando ho deciso fosse più saggio tornare a riva prima che qualche cavallone alto troppi metri mi trattenesse sott'acqua definitivamente. La perseveranza di Lapo invece gli ha permesso di domare più o meno qualche onda presa bene.
Comunque il posto era bellissimo ma siamo partiti subito. Abbiamo aperto tutti una nuova parentesi: Mia adesso è in Australia, John e Guru in Nepal, io e Lapo abbiamo passato un paio di settimane in Indonesia dove nuove avventure hanno contribuito ad archiviare l'Isola nel cassetto dei ricordi: funghi freschi su un'isola in un lago vulcanico, lezioni di Inglese a bambini indonesiani, autostop sotto il diluvio, invadente proselitismo di pastori protestanti.

Ci sarebbero da scrivere altri dieci post.

Ma non si può scrivere tutto.
A volte si può solo vivere.
(Favio Bolo)


Disclaimer

Ci tengo a precisare che, nonostante le mie manie di protagonismo e il mio ego sproporzionato, il fine ultimo di questo blog è semplicemente quello di mantenere una cronologia delle mie avventure per futura referenza personale. Ciò non mi vieta di condividere con il resto del mondo le mie inutili divagazioni, ma riconosco che i miei viaggi destino il più assoluto disinteresse nell'opinione pubblica. Ogni riferimento a persone e cose è volutamente esagerato e senza alcuna prova che sia mai accaduto.